Se chiedi ad
ogni HR qual è, al momento, la più grande sfida nella loro attività, tutti
risponderanno sicuramente che è il gap delle competenze, cioè il divario che
esiste fra le competenze necessarie per
occupare una certa posizione lavorativa e quelle effettivamente possedute dalla
persona che dovrebbe occupare o che occupa quella posizione.
E’, questo,
un argomento di cui, già da qualche anno, si parla, soprattutto per quel che
concerne il digitale, perchè è proprio
in questo settore, oggi, che il gap di competenza si è allargato sempre di più.
Questo sarà
un problema ricorrente, se i corsi di Laurea non si allineeranno alle richieste
del mercato del lavoro.
Per ottenere
questo le aziende devono collaborare con le Università in modo che gli studenti
possano finalmente acquisire quelle competenze e conoscenze che permetteranno
loro di riempire le lacune “pragmatiche”, in modo tale da inserirsi più
rapidamente nel mondo del lavoro.
Inoltre,
questo è un ambito in cui devono trovare spazio per i propri interventi gli
enti di formazione, che ricevono incarichi dalle aziende per organizzare
attività di formazione continua per i propri dipendenti che necessitano di
colmare questi eventuali gap, prodotti anche dalle continue innovazioni tecnologiche
o di mercato.
La
ricerca continua di lavoro – i job hoppers
Le aziende si
trovano, inoltre, a dover fare i conti con i job hoppings, ovvero con quella
fetta sempre più grande di lavoratori che, dopo poco tempo che sono stati
assunti, decidono di andarsene in un’altra, poiché sono alla ricerca continua
di un lavoro che sia, per loro, il più perfetto
possibile.
Questo tipo
di comportamento oggigiorno è facilitato anche dalle nuove tecnologie e dai
social: per chi è in cerca di lavoro e per i recruiter è sempre più facile
entrare in contatto!
Secondo recenti
ricerche l’86% degli impiegati statunitensi, dopo breve tempo dall’assunzione,
stava già guardandosi in giro per un nuovo lavoro, mentre un terzo era formato
da job hoppers incalliti (saltatori cronici da un lavoro all’altro).
Cosa possono
fare, allora, le imprese per tenersi buoni i talenti migliori?
Creare una superiore
cultura d’impresa, condivisa da tutti i propri dipendenti: un luogo dove gli
impiegati possono avere degli amici, essere soddisfatti e motivati nel proprio
lavoro ottenendo anche, perché no, dei benefit per i successi raggiunti.
Sempre
più persone cercano annunci e reclutano da mobile.
Un altro
problema: sempre più persone cercano annunci di lavoro da mobile; il
reclutamento
online sta diventando al norma. L’83% dei job seekers usa correntemente
smartphone e tablet per cercare annunci di lavoro, mentre solo il 20% delle
aziende ha un sito mobile-friendly.
Tutte le
aziende, di tutti i settori, devono rendersi conto che la ragione per cui sempre
più persone si connettono da mobile, più che da desktop, è perché si tende ad
essere sempre connessi, ovunque si va. Quindi, con i loro reclutatori devono
essere lì, pronte, nel momento e nel luogo dove si trovano i loro potenziali
talenti.
Di conseguenza
devono ottimizzare i siti e creare applicazioni ad hoc.
Le aziende usano sempre più social media post per
attrarre e trattenere i talenti.
In questi
ultimi anni è notevolmente aumentato il numero delle imprese che usano i social
e pubblicano articoli su blog aziendali con questo intento.
E’ un buon
metodo per condividere la cultura d’impresa, diffondere un senso di
appartenenza, lasciando che siano i dipendenti a scrivere e condividere i post.
Infatti, secondo un recente studio, il 58% delle persone sono più inclini a lavorare
in un’impresa se questa usa i social, e ben il 20% sono più propense a rimanere
nelle aziende per le quali lavorano, sempre se usano i social media.
Le persone,
in generale, vogliono lavorare per imprese “vive” ed ovviamente il fatto di
condividere post sui social, oltre a dare loro una idea più precisa di quello
che l’azienda è e fa, li fa sentire più attivi, partecipi e coesi.
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